Solo dopo quasi un decennio di esperienza sul campo sono arrivato a capire che il successo nel trading è la gestione della posizione (chiamato anche money management). Per me, da quel momento le cose sono migliorate radicalmente e il trading è diventato addirittura (si fa per dire…) più facile. Pur trattandosi di un argomento ampiamente conosciuto, anche grazie a corsi, seminari e pubblicazione di libri, in pratica è ancora troppo sottovalutato e troppo poco applicato. Probabilmente perchè, dal punto di vista didattico, appena si affronta nel dettaglio si finisce inevitabilmente per cadere subito nel tecnicismo delle formule matematiche di Kelly o Williams, fino all’optimal F, perdendo di vista il contesto generale.
Innanzitutto è necessario affermare con forza che il problema del trading non è trovare il punto di ingresso in posizione. Ci sono centinaia di indicatori/oscillatori e pattern già presenti in letteratura che possono funzionare benissimo e che possono essere ulteriormente perfezionati cercando
il settaggio più idoneo per poter essere applicati alla moltitudine di strumenti finanziari negoziabili, e in tutti i vari possibili timeframe. Insomma, mi sento di poter affermare che molte cose dell’analisi tecnica funzionano, per fortuna, e senza stare a fare molte distinzioni. Pertanto, ognuno scelga la strategia di ingresso che più lo convince e sicuramente per un po’ funzionerà.
Più precisamente, qualunque sia il setup adottato, funzionerà dal momento in cui si investe a pochissimo tempo dopo, da pochi secondi a pochi minuti (se parliamo di intraday) fino al massimo di qualche giorno (per orizzonti temporali più lunghi). Perché, cosa succede dopo? Succede che le quotazioni oscillano e nessuno (ma proprio nessuno!) sa dove potranno andare. Meglio mettersi subito il cuore in pace, rassegnarsi e affidarsi alle regole del money management. Illudersi è peggio e porta sicuramente a perdere molti soldi.
A volte la posizione oscilla mantenendosi in territorio positivo, altre volte si porta subito sotto il prezzo di carico evidenziando un P&L negativo, più spesso passa frequentemente da un segno più ad uno meno. Si tratterebbe di situazioni gestibili se la volatilità rimanesse contenuta, ma quando aumenta (in prossimità di un dato macroeconomico, ad esempio) le cifre cominciano a diventare più importanti, nel bene e nel male, nonchè nella rapidità con cui cambiano.
In tutti i casi, comunque, il trader è sempre in ansia. E il motivo è uno solo: perché vuole assolutamente guadagnare. Se entra in posizione e rimane a zero o va in negativo, si arrabbia. Se va in positivo, vorrebbe che lo fosse ancora di più (avidità). E quante volte un’operazione in guadagno si è trasformata in perdente a forza di aspettare…
Per risolvere questi aspetti, la gestione della posizione richiede l’applicazione obbligatoria di target, stop loss e trailing stop. Questa è l’unica e ultima soluzione per controllare l’aleatorietà dei mercati e portarla a proprio vantaggio. Per quanto possa sembrare paradossale, anche chiudere una posizione in perdita (stop loss) è vantaggioso: sia perchè il non applicarlo vorrebbe dire perdere molti più soldi (meglio perdere 100 euro o 1.000 euro?) sia perchè rimane più capitale da investire successivamente per recuperare questa perdita.
Il problema è che tra il dire e il fare ci sono di mezzo tutti gli oceani. Lo stop loss, infatti, rimane difficile da applicare per il trader che ha posizioni in perdita e le giustificazioni per non farlo sono sempre le stesse: “spero che recuperi”, “secondo me inverte”, “aspetto ancora un po’”, “sono sicuro che appena chiudo, riparte nella direzione che avevo previsto”, “ci sono sicuramente cacciatori di stop loss in giro”, ecc.. Sempre le stesse stupidaggini.
