Il tasso di interesse dell’area Euro ha raggiunto il proprio minimo storico a 0,25%, dopo l’ultima decisione presa dalla Bce nella seduta del 7/11/2013, riducendolo dal precedente 0,50%. Nonostante non vi fosse stata alcuna occasione da parte del presidente Draghi per lasciar presagire una misura così straordinaria, nelle giornate precedenti si era sempre più diffusa tra gli operatori questa ipotesi di taglio del tasso Bce. Tutti i principali mercati azionari, inizialmente, hanno reagito molto positivamente all’annuncio, così come i cross valutari contro Euro che in pochi secondi hanno guadagnato più di una intera figura, accelerando l’impostazione decisamente rialzista di breve/medio periodo.
A questo punto, le banche centrali più influenti sono allineate con prezzi del denaro vicini allo zero, come è illustrato nella seguente tabella:
Dal punto di vista macroeconomico tutto ciò è corretto, in quanto il modello comportamentale della politica monetaria espansiva dovrebbe indurre alla crescita economica, di cui si ha grande bisogno. In teoria, si vogliono spingere i possessori di liquidità e Titoli di Stato (il cui rendimento dovrebbe essere addirittura negativo, comprendendo l’inflazione) ad investire nell’economia reale, sia direttamente attraverso la creazione di nuove attività imprenditoriali (magari finanziabili dalle banche a tassi bassissimi) oppure indirettamente tramite gli investimenti azionari in borsa.
Ma in pratica, avviene davvero così?
Non sempre, purtroppo. A volte si e altre no.
Nel caso degli Usa, ad esempio, il meccanismo è riuscito alla perfezione: già dall’inizio della crisi finanziaria del 2007, a causa dei mutui subprime, la Fed ha iniziato una serie di drastiche riduzioni dei tassi ed ha ulteriormente sostenuto le politiche espansive con i cosiddetti “Quantitative Easing”, cioè l’acquisto mensile di T-Bond per decine di miliardi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, con Wall Street sui propri massimi assoluti ed un Pil al 2,8% nel terzo trimestre 2013.
Nell’area Euro, invece, il prezzo del denaro è sceso solo negli ultimi anni, così come con molto ritardo è cominciata la politica di sostegno denominata LTRO, ossia l’acquisto da parte della Bce di obbligazioni governative dei paesi più deboli (Grecia, Spagna e Italia). Tant’è che la crisi è ancora evidente e soprattutto in Italia, con dati macroeconomici ancora tutti negativi e Piazza Affari sempre schiacciata sui minimi.
Forse l’esempio peggiore potrebbe essere quello rappresentato dal Giappone, che dopo il boom economico terminato nel 1990 con lo scoppio della bolla speculativa immobiliare e l’indice Nikkei225 sul picco dei 40.000 punti, non si è mai più ripreso nonostante sia passato un ventennio con tassi prossimi allo zero. Inoltre, la situazione giapponese starebbe anche ad indicare quanto una politica monetaria espansiva possa essere totalmente inefficace, indipendentemente dal tempismo con la quale si applica o dalla sua durata.
Questa criticità non lascia presagire niente di buono per il nostro paese dato che si possono evidenziare molte similitudini con i nipponici: oltre ai tassi a zero e alle quotazioni azionarie lontane dai massimi storici, anche il rapporto Debito pubblico/Pil è elevatissimo, il Debito è quasi interamente posseduto all’interno (lo sta diventando anche in Italia grazie alle continue emissioni di BTP Italia), età media della popolazione in aumento (problematiche previdenziali) ed, infine, una straordinaria propensione al risparmio delle famiglie.
Sarà fin troppo semplice, ma probabilmente è proprio quest’ultima caratteristica la variabile chiave che potrebbe spiegare l’efficacia o meno delle manovre delle banche centrali. L’abitudine al risparmio, infatti, è la diretta conseguenza di una forte avversione al rischio (finanziario o imprenditoriale), per cui anche di fronte ad una ingente liquidità sui c/c o Titoli di Stato che non forniscono remunerazione, si preferisce comunque tenere i soldi “sotto il materasso”.
In Italia, in particolare, siamo ancora nel pieno della crisi economica. Una infinità di dati possono dimostrarlo quotidianamente anche solo leggendo la cronaca dei giornali: dati macro negativi fino al 2016 (fonti Governo, Ocse e Fmi), aziende che chiudono, disoccupazione in aumento, salari reali in diminuzione, settore immobiliare in svendita, Inps al collasso, aumento delle famiglie vicine alla soglia di povertà, situazione politica sempre in bilico, ecc…è ovvio che chi ha accumulato qualcosa nel passato non abbia alcuna intenzione di investire, neppure su se stesso, per paura del domani. E, oltretutto, dato che la Bce continuerà ad immettere denaro sul mercato (quasi gratuitamente), si ritiene di avere tutto il tempo a disposizione prima di valutare eventuali opportunità, aggravando di fatto questa situazione e prolungando l’agonia. Questo comportamento è conosciuto con il nome di “trappola della liquidità” ed è difficile sapere quando ci si potrà liberare.
Gli americani sono un popolo molto diverso. Primi della classe in tutto e sempre convinti che il “sogno americano” possa realizzarsi per chiunque, dal punto di vista economico-finanziario sono abituati a buttarsi nella mischia e giocarsela. Rispetto ai giapponesi ed europei in generale, sono dei veri e propri “spendaccioni”: hanno sviluppato il credito al consumo (acquistando qualsiasi elettrodomestico a rate), si sono indebitati durante il boom della New Economy per acquistare azioni del Nasdaq, hanno approfittato dei mutui immobiliari (poi diventati subprime), ecc… solo per fare alcuni esempi. In sostanza, spendono anche al di sopra delle loro possibilità, investono a debito senza troppe remore, ma fanno girare l’economia senza mai farla cadere nel vortice della recessione. Si tratta di un modello comportamentale molto legato all’educazione e all’aspetto sociale, e che di conseguenza può esaltare le teorie economiche quando vengono applicate correttamente.
Come scriveva il Manzoni “Il coraggio, uno non se lo può dare” ed è evidente che l’Europa questo coraggio adesso non ce l’ha. Ma allora, a cosa può servire l’ulteriore riduzione dei tassi della Bce in questa perdurante e generalizzata situazione di pessimismo e negatività? Cosa può cambiare uno 0,25% in meno? Che senso ha farlo proprio nel momento in cui la Fed, invece, si sta apprestando a fare il contrario (Tapering)?
Il pericolo è che non serva a niente, se non a peggiorare le cose. Con questa decisione, infatti, la Bce potrebbe aver commesso due errori: da un lato ha mostrato debolezza confermando indirettamente la gravità della crisi in corso, soprattutto a livello bancario e finanziario; dall’altro, continua a spingere il sistema monetario ancora di più verso la trappola della liquidità, che, come crediamo, non è la ricetta giusta per guarire il vecchio continente.